giovedì 27 settembre 2018

Dress whaat?

Ci sono cose che non riesco proprio a capire. Tipo il dress code.

Leggevo oggi un articolo sul dress code, che intima il malcapitato lettore a stare attento al proprio vestiario, millantando la possibilità di offendere le persone attorno, ridicolizzare sé stess*, provocare guerre nucleari come nemmeno l'ultimo disco di Gigi d'Alessio potrebbe fare

Ecco, boh... io proprio non riesco a capire. Sarà che son stambo, ma io i vestiti manco li vedo. A volte mi incuriosiscono quelli più stravaganti (ok, Lorenzo, non barare: su quelli più strambi ridi perfidamente come la peggiore pettegola. SIAMO ONESTIH), ma di media non ricordo cosa indossano le persone.

Sarà che la gente la preferisco nuda, ma il vestiario ha sempre contato zero.

Però alla fine, devo dirlo, mi spiace. A me piacerebbe comprendere le regole del vestirsi bene. Perché alla fine, nello strambo mondo in cui viviamo, anche il #macometivesti è comunicazione.

I nostri vestiti comunicano qualcosa. E in questo periodo sono sempre più interessato a cosa comunico oltre alle mie parole.

Quindi ho deciso, per il 2018-2019, di cominciare a cercare di capire cosa comunico con il mio aspetto fisico. Non per diventare un phyghetto, non necessariamente almeno, ma per essere cosciente e comprendere meglio alcune reazioni degli strambi esseri umani che mi circondano.

Spero non mi costi troppo...

Lo

mercoledì 26 settembre 2018

Sciabordii

Stavo riflettendo su una cosa.

Negli ultimi anni ho fatto un buon lavoro su me stesso per cominciare ad assumermi le mie responsabilità. Precedentemente le responsabilità le evitavo, e davo spesso la colpa a fattori esterni sui quali non avevo controllo.

Prendete il mio aspetto fisico: era un alibi. Nei primi post qua nel blog parlavo di me come di una specie di gobbo di Notre Dame, o forse come il mostro di Loch Ness. In realtà mi stavo deresponsabilizzando: stavo associando la mia incapacità di comunicare ad un fattore esterno, l'aspetto fisico, sul quale sentivo di non aver controllo.

Con il tempo e con i giusti calci in culo (Vu, ti amo XD) ho lavorato molto su questo aspetto. E ora riconosco che cambiare me stesso è la miglior maniera per risolvere i miei problemi.

Adesso il problema è un altro. Prendermi responsabilità al momento equivale al prendermi la colpa di tutto quello che non va come vorrei.
L'estremo opposto. Prima tutta la colpa era esterna, adesso tutta la colpa è interna. Prima avevo la sensazione di immobilità perché pretendevo si muovesse il mondo, adesso sono in balia degli sciabordii del mondo senza riuscire a fermarmi.

Mai 'na gioia :|

Quantomeno so su cosa lavorare nei prossimi mesi, ecco. E con tutte le responsabilità che mi sto prendendo avrò ampiamente modo di farlo!

Lo

giovedì 20 settembre 2018

Nota della redazione

Nel 2014 avevo cominciato un nuovo blog, che non era Blackie e quindi è morto clamorosamente.

Per unire le due metà del mio cervello, caricherò su Blackie i post di quel blog, retrodatandoli. Se ce la faccio.

I post saranno identificabili dal tag [ACWIP] all'inizio. Tanto son cinque.

Lo

La normatività

Vu mi ha fatto venire in mente un concetto importante, oggi.
L'importanza, all'interno della comunicazione, della sorpresa. Il che è collegato alla normatività.

Fatemi spiegare meglio.

Prendiamo un fenomeno come lo sciopero. I primi scioperi erano fortemente osteggiati dalla legge: scioperare era un atto forte, che aveva conseguenze pratiche e fortemente negative per chi scioperava, e quindi era un gesto che aveva un significato forte, e quindi delle conseguenze sulla popolazione. Non necessariamente positive, ma colpiva, faceva parlare del problema, ed alla lunga cambiava le cose.
Tanto che le condizioni dei lavoratori sono pian piano migliorate, e pian piano si è cominciato a parlare di diritto allo sciopero.

Cosa ne è rimasto oggi?
Lo sciopero è talmente abituale, talmente sovrautilizzato, che nessuno ci fa praticamente più caso. Se sentiamo di uno sciopero al TG, la nostra reazione è blanda. A meno di non avere particolare interesse per le condizioni dei lavoratori, è probabile che non capiamo nemmeno le ragioni dello sciopero, e bolliamo chi sciopera come fancazzista.

Questo è perché lo sciopero è stato "normalizzato".
Un meccanismo normale dei progressi sociali: semplificando molto, dato in un certo momento un equilibrio sociale, arriva qualcuno che rompe questo equilibrio. Le acque si agitano, ma ad un certo punto la società si riassesta su un nuovo equilibrio, che assorbe il cambiamento sociale. Dal momento in cui il cambiamento è normalizzato, nessuno si stupisce più perché è all'interno dell'equilibrio.

Il problema è che, spesso, il cambiamento non viene assorbito in toto. Guardate la variopinta scena LGBT degli anni '70, che scandalizzava i benpensanti, e guardate la situazione oggi in cui alcuni omosessuali non desideravano le unioni civili per evitare di far troppo rumore e non esser pestati per strada: l'omosessualità è stata normalizzata, nel senso che oggi va bene se sei gay, ma non devi pretendere troppi diritti perché altrimenti ostenti. Finché mimi le relazioni etero vai bene.

Che pippone... ma avevo bisogno di buttarlo giù per capire meglio anche io.

Comunque stamani, per vostra informazione, non ho voglia di fare un cazzo.

Lo

martedì 18 settembre 2018

Percezione autoavverante

Comunque nel rileggere il me stesso di qualche anno fa è pazzesco come avessi una percezione distorta del mio aspetto fisico.

Ora, non credo di essere un adone, ma definirmi orripilante mi sembra un filo esagerato. Bruttarello, toh. A volte anche quasi gnoccarello.
Sicuramente ho un gran culo. In effetti, se scorrete sotto trovate anche una foto. Gratis. In Scozia.
Ahem.

Che poi, penso, quel che ne usciva era la solita "profezia auto-avverante". Che è la dannazione maggiore di chi, come me, ha un'autostima traballante.
L'autostima ti dice che non riuscirai a fare abbastanza, o che non sei abbastanza. Quindi è come se tu ti ritrovassi a far quella cosa con un peso gigantesco da trascinare, che tenta di farti ridiscendere giù. E magari quel peso è proprio quello che finisce, alla fine, per farti davvero cadere stremato. E non finire le cose.

E quindi fallisci, alimentando la tua mancanza di autostima.

Il problema attuale è come rompere questo ciclo. Che razionalmente ho identificato, ma irrazionalmente faccio una fatica bestiale a rompere.
Per adesso, la logica che ho seguito è quella dell'allenamento. Se fai un lavoro, pian piano ti abitui a farlo e ti viene più semplice continuare a farlo. Ma questa non può essere una strada percorribile... perché comunque è na faticata. Devo anche lavorare sul peso, sul comprenderlo, sul capire come metterlo in spalla e portarlo con me.

Devo allearmi con le mie paure, e superare la vita assieme a loro :)

lunedì 17 settembre 2018

Lunedì

Oggi è lunedì. Potrei scrivere un post banale sul fatto che già di per questo vorrei uccidere pulcini prendendoli a racchettate, ma non lo farò perché ho un'audience sensibile.

In questo periodo pieno, una volta scritta la frase qua sopra ho cominciato a sentire la folla dei miei pensieri cominciare ad urlare e richiedere la mia attenzione.
Dovrei parlare dei cazzi miei? Del mio speech a Toastmasters? Di minchiate? Dell'attività che sto facendo in palestra? Del lavoro? Di politica?
Tutti urlano per avere attenzione, d'altra parte. Potrei fare una roba naive, e scrivere un discorso diverso per ogni frase. Ma non lo farò, perché ho un'audience sensibile.
Poi la gente mi chiede di uccidere pulcini a racchettate, e mi sporco tutta la polo di sangue.

Il fatto, che è anche legato all'esiguo numero di post su Blackie, è che ho talmente tante di quelle voci in testa a chiedere attenzione che ho difficoltà a concentrarmi su una cosa singola. Scrivere, razionalizzare, è una cosa che richiede allenamento.

Ma poi guardo al contatore di visite, ed al numero di commenti, e mi rendo conto di una realtà fondamentale.
Blackie all'inizio era un urlo di aiuto, una richiesta di assistenza per una persona disperata. C'era gente che lo seguiva, commentava, mi voleva bene... con una di quelle persone sono ancora amico dopo tanti anni.
Adesso è un laboratorio, uno spazio mio. Un luogo dove scrivere, buttar giu, senza paura di espormi e senza paura che qualcuno si senta disorientato. Blackie è un luogo dove psicoanalizzarmi, dove fermarmi, dove riflettere, dove razionalizzare.

Blackie è adesso la mia maniera per riuscire a zittire tutte quelle voci, e scrivere qualcosa. Un modo per fermarmi.

E forse così è anche più prezioso di prima :)

venerdì 14 settembre 2018

Rileggere

In realtà, il post che ho pubblicato poco fa risaliva a ieri.
Mi sono ripromesso di riprendere a scrivere e razionalizzare, quindi rieccomi a scrivere.

Di cosa volevo parlare? I miei appena sopraggiunti 33 anni hanno cancellato il contenuto dei miei neuroni.... ah, sì, del fatto che sono undici anni che esiste Blackie!
La voglia di riscriverci mi è presa quando, stimolato dalla psico, ho ricominciato a leggere le parole scritte da quel misterioso me di 11 anni fa. E pensavo... cribbio! Undici anni, quasi dodici. Tanto tempo, tante parole passate sotto il ponte, tanti pensieri cambiati, tanta crescita.

Un blog è un po' questo. Un posto dove stipi i tuoi pensieri e la tua maniera di essere, per ricordartene più tardi. Ricorda un po' quelle persone che continuano a farsi una foto al giorno per vedere come invecchiano male. Ecco, Blackie è la testimonianza di come sto invecchiando. Bene, male... sinceramente non lo so! Credo bene, considerata la maggior consapevolezza di quel che mi passa dentro. Ma forse male, considerata la poca capacità di concentrarmi sulle cose.

Anche il 2018 adesso ha i suoi bravi post. Non so se continuerò a scrivere, ma fra altri 11 anni, quando ne avrò quarantaquattro come i gattiinfilaperseicolrestodidue, potrò rileggere come pensavo quando ne avevo trentatrè come i trentinicheentraronoatrentotuttietrentatretrotterellando. Che mi intorto anche a scriverlo.

Basta minchiate neh?

Lore

All changes...

Buffo, no?
Il tempo passa, si cresce, si cambia. Eppure alcune cose rimangono costanti.
Tipo Blackie. Che è una di quelle cose che rimane là, come un simpatico avvoltoio sulla spalliera del letto. Tu pensi di essertene scordato ma lui è sempre là a guardarti, famelico di pezzetti della tua anima.

Che così sembra un po' mostruoso, ma in realtà è un bravo ragazzo.

A Blackie ci ho pensato venerdì scorso, alla prima seduta del mio nuovo ciclo con la psicanalista. Che no, non ci sto andando per curare il mio improbabile senso dell'umorismo, ma per "mettere ordine".

Non posso nemmeno parlarne male, che adesso sa di Blackie e poi mi corca quando vado alle sedute (salve dottoressa! tutto bene?).

Il mondo cambia, si evolve, io mi sento fermo come può sentirsi ferma una persona su un ottovolante. Che tutto intorno cambia, la tua posizione nel mondo cambia, eppure tu dentro senti che le viscere non si son spostate più di tanto. Non vedi più l'antipatica casa degli spettri, ma sei sempre a contatto con la tua puzzolente cistifellea.

Perché quel che vedi fuori è razionalità, quello che vedi dentro è il tuo bizzarro mondo interiore che ignora la razionalità e continua a dirti che tutto è rimasto uguale. E che ti blocca, ti inchioda là. Ti fa pesare come un macigno il minimo errore e ti sminuisce tutte le vittorie.

Che palle, ragazzi... è come se cercassi di correre con un peso da un quintale attaccato ai coglioni. Voglio liberarmene. Voglio caricarmi sto peso in spalla e correre con lui.